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Il sedile di pietra
accanto al mare.
Ti levasti i sandali.
Una nave illuminata
Ghiannis Ritsos
sofia demetrula rosati
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Il sedile di pietra
accanto al mare.
Ti levasti i sandali.
Una nave illuminata
Ghiannis Ritsos
Si potrebbe dire che abbiamo due destini: uno mobile e senza importanza, che si compie; e un altro, immobile e importante, che non si conosce mai.
Musil
Quando mi si chiede di tradurre poesia, nel mio caso dal greco moderno, so già che mi aspetta un lungo periodo di inquietudine, di lettura dei testi e pause infinite, ruminazioni senza posa, nottate sui dizionari, spesso più su quello di italiano piuttosto che su quello di greco, innamoramenti lessicali, infinito fare e disfare. E so che prima o poi sarò costretta a mettere un punto, mio malgrado, avendo trasgredito qualsiasi “andare oltre le scadenze”. Sarò costretta a mettere un punto perché altrimenti quella traduzione non vedrà mai fine e pubblicazione. Ma ogni volta mi chiedo come si fa a chiudere una traduzione?
Voglio dire: per un qualsiasi testo poetico, italiano o già tradotto, ad ogni rilettura trovo una nuova dimensione di senso, un’ispirazione, una sfumatura e mai finisco e mai voglio finire perché altrimenti non sarei poeta io stessa. E in questi casi mi trovo di fronte ad testo già chiuso (o almeno così qualcuno ha deciso). Ma quando devo essere io a decidere? Beh si dirà: attieniti quanto più strettamente al testo scritto dal poeta ed effettua solo quei tradimenti “necessari” a che la lettura della poesia possa “svolgersi” in italiano. Ma io non sono una traduttrice, io sono poeta. Quando apro il dizionario per vedere quante “sfumature” di traduzione ha uno stesso vocabolo, per me sono tutte da tenere in serissima considerazione, e poi quando propendo per un vocabolo allora ne vado a cercare le sfumature nel dizionario di italiano per essere sicura che voglia dire proprio quello che io ho sentito “volesse” dire, per poi, ovviamente tornare indietro.
Se penso a tutte le volte che amici o lettori appassionati dei miei testi mi hanno chiesto “ma cosa volevi dire esattamente qui, in questo/i versi….spiegami” e alla rabbia che puntualmente mi assale e che nascondo malvolentieri perché l’unica risposta possibile è: quello che io voglio dire a te non deve interessare più di tanto, non sperare di rubarmi l’anima anche se te l’ho sbattuta su di una pagina bianca, vedi piuttosto se qualche parte della “tua” anima si rispecchia in quella pagina opaca e parlamene.
E quindi con quale presunzione posso pensare di accingermi a tradurre un testo cercandone la traduzione più esatta e soprattutto a quali delle infinite dimensioni di senso che mi arrivano da quel testo dovrò dare voce e, finalmente far cadere la penna? Sinceramente non lo so.
Mi dico solo che, meno male non sarò l’unica a tradurre questo testo, anche altri traduttori e poeti si cimenteranno, prima o poi con esso e riporteranno altro. Io avrò solo fatto la traduzione più approssimativa al mio dire di quel preciso momento della mia vita.
il frattale del dolore produce geometrici movimenti di bellezza incostante un alito di vento poi rinuncia bambini stuprati urla più vischiose del sangue cercano qualcosa su cui attaccarsi morire di fame uno ogni cinque secondi una donna su tre ha subito una violenza una bambina più volte molestata e violentata ha contratto l’HIV ora è una donna la speranza costruisce epicentri confidando nell’irradiazione a onde d’urto dopo un’eruzione vulcanica la vita torna nel giro di tre anni costanza sbalorditiva qui nel luogo del post Big Bang non c’è tregua la morte è solo un movimento nel passaggio geometrico di un frattale in bellezza incostante
Non è sempre facile sopportare la poesia, può portare l’essere umano in direzioni inattese. Mi hanno donato le ali, ma dov’è l’aria per volare? [….] Ormai ha da tempo dimenticato la presenza di Jens, pochi versi di Jonas e il ragazzo è sparito nelle parole, non si cura più della tempesta, recita i versi a voce alta per se stesso, li recita come una formula magica che gli permette di intravedere altri mondi. Nulla mi è delizia, tranne te. La poesia uccide, ti dona ali, le agiti un po’ e ti accorgi di avere catene. Ti apre mondi nuovi, e poi ti riporta brutalmente indietro, nella tormenta, nello squallore quotidiano. Che senza l’amor mio la vita è morte; per qualche motivo il ragazzo sente il bisogno di ripetere l’ultima strofa, e allora Jens si alza, senza l’amor mio la vita è morte, si alza e si precipita fuori, verso la tempesta, o meglio, dentro la tempesta, e sparisce. Allora il ragazzo si strappa dal potere della poesia e si affretta a seguirlo per non perdersi.
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Canadian Zen Haiku canadien ISSN 1705-4508