Nel porto silenzioso, sulle alberature dei pescherecci, risplendé l’ala d’un gabbiano; sull’ala si riflesse il piccolo monte verde e una finestra. Allora, si scaldarono di colpo le dita delle statue e sull’unghia del pollice eroticamente si allargò la lunetta rosata.
La poesia di Antonis Fostieris tra la filosofia ellenistica e il pensiero di María Zambrano.
di Sofia Demetrula Rosati
Amore e Psiche stanti Antonio Canova (1788-1793)
Colpisce, nella poesia di Antonis Fostieris, la ricchezza di citazioni, l’uso del verso di altri poeti inserito nelle proprie poesie, nonché l’implicito ma pervasivo rimando ai filosofi del periodo presocratico e a Socrate stesso. Il tutto attraverso l’utilizzo di un linguaggio essenziale, mai lirico, al limite del prosaico; la complessità viene ricercata sul piano delle assonanze, dei giochi di parole, capace di rischiare lo scardinamento della lingua stessa. L’uso della lingua in modo così sofisticato, appare quasi dissacratorio, perché è in greco che scrive Fostieris, e la lingua greca (antica o moderna che sia) non è forse già di per sé un assioma per tutto il mondo occidentale? Ma proprio questo uso così ardito, sembra permettere al poeta di ottenere quella giusta composizione alchemica, capace di dissolvere la formula filosofica in immagine poetica. Non si fonde con essa, non la trasforma, non ne esalta il senso e neanche lo disgrega. Semplicemente lo liquefà. La poesia di Fostieris pone l’ultima definitiva parola all’antichissima disputa tra poesia e filosofia, sancendo definitivamente la superiorità della parola poetica. Egli sembra aver risposto a quel quesito, posto da María Zambrano, e rimasto ancora ad interrogarci: “Non sarà possibile che in un qualche giorno felice la poesia raccolga, fissando lucidamente e per tutti il proprio sogno, tutto ciò che la filosofia sa, tutto ciò che ha appreso nel suo allontanamento e nel suo dubbio?”
Questo lavoro alchemico è particolarmente evidente nella silloge “Lete prezioso”. Essa si apre con un trittico (Psiche significa farfalla, La poesia non nasce dalle idee e Pneuma significa soffio) che sembra un vero e proprio trattato di filosofia socratica, sulla Psiche il Pneuma e la creazione della poesia. Psiche significa farfalla, basta aprire un dizionario cercare il termine psiche e passando attraverso il significato di anima, soffio, si arriva a quello di farfalla, sia in riferimento al noto personaggio delle Metamorfosi di Apuleio, ma anche ad una specie di lepidottero “dalla livrea modesta”. Ed è proprio al lepidottero che si riferisce Fostieris. Eufemismo dice il poeta, perché l’anima psiche è il luogo del tormento senza posa e il tarlo che non vola, non ascende verso l’alto, ma ingrassa e sprofonda proprio in quel soma che dovrebbe sentire come separato da sé. Anche per María Zambrano l’anima-farfalla in alcuni casi muore, in altri vola via, ma “Raramente si è verificato quel miracolo di agilità della mente, che le permette di trattare adeguatamente l’anima, di costruire una rete fatta apposta per catturare la realtà sfuggente della psiche.” Psiche significa Farfalla e Pneuma significa soffio. Quindi sembra, qui, mantenersi la distinzione socratica tra Ψυχή e Πνεύμα mentre l’elemento corporeo, che dovrebbe essere ad essi contrapposto, non è il soma ma la poesia. La poesia non nasce dalle idee dice Fostieris e se Pneuma significa soffio (divino) dal quale dovrebbe discendere, egli ci disincanta immediatamente, perché la poesia, dice, non può nascere da un pensiero tanto elementare (anche se lo stesso poeta nazionale Dionisos Solomos aveva scritto: Prima deve concepire l’intelletto/ e dopo il cuore caldo potrà sentire). Se la Zambrano sottolinea che “l’impresa della filosofia greca fu quella di scoprire e presentare come suo quell’abisso dell’essere situato più in là di ogni essere sensibile, che è la realtà poetica, la fonte di tutta la poesia”, Fostieris restituisce il primato alla parola poetica, a quell’eterno trionfo dei sentimenti che bandito dall’ambito filosofico, trova nella poesia il pieno riconoscimento: E allora/ Ti resta solo il sentire/ Solo il sentire ti resta/ Della profonda sconfitta/ Per l’immutabile gloria/ Dei sentimenti.
Ψυχή e Πνεύμα, tornano quindi in unità nella poesia Pneuma significa soffio, rappresentando l’altro luogo (ό αλλος τόπος) quasi si trattasse di una finzione scenica dove le farfalle pascolano fiori in un luogo verdeggiante e dove spira tanto vento (perché i soffi di pneuma e psiche si uniscono), un vento fresco, un mondo parallelo più simile al contemporaneo Truman Show, dal quale nessuno è mai fuggito.
Articolo pubblicato sul numero 88 della Rivista Anterem
Quando mi si chiede di tradurre poesia, nel mio caso dal greco moderno, so già che mi aspetta un lungo periodo di inquietudine, di lettura dei testi e pause infinite, ruminazioni senza posa, nottate sui dizionari, spesso più su quello di italiano piuttosto che su quello di greco, innamoramenti lessicali, infinito fare e disfare. E so che prima o poi sarò costretta a mettere un punto, mio malgrado, avendo trasgredito qualsiasi “andare oltre le scadenze”. Sarò costretta a mettere un punto perché altrimenti quella traduzione non vedrà mai fine e pubblicazione. Ma ogni volta mi chiedo come si fa a chiudere una traduzione?
Voglio dire: per un qualsiasi testo poetico, italiano o già tradotto, ad ogni rilettura trovo una nuova dimensione di senso, un’ispirazione, una sfumatura e mai finisco e mai voglio finire perché altrimenti non sarei poeta io stessa. E in questi casi mi trovo di fronte ad testo già chiuso (o almeno così qualcuno ha deciso). Ma quando devo essere io a decidere? Beh si dirà: attieniti quanto più strettamente al testo scritto dal poeta ed effettua solo quei tradimenti “necessari” a che la lettura della poesia possa “svolgersi” in italiano. Ma io non sono una traduttrice, io sono poeta. Quando apro il dizionario per vedere quante “sfumature” di traduzione ha uno stesso vocabolo, per me sono tutte da tenere in serissima considerazione, e poi quando propendo per un vocabolo allora ne vado a cercare le sfumature nel dizionario di italiano per essere sicura che voglia dire proprio quello che io ho sentito “volesse” dire, per poi, ovviamente tornare indietro.
Se penso a tutte le volte che amici o lettori appassionati dei miei testi mi hanno chiesto “ma cosa volevi dire esattamente qui, in questo/i versi….spiegami” e alla rabbia che puntualmente mi assale e che nascondo malvolentieri perché l’unica risposta possibile è: quello che io voglio dire a te non deve interessare più di tanto, non sperare di rubarmi l’anima anche se te l’ho sbattuta su di una pagina bianca, vedi piuttosto se qualche parte della “tua” anima si rispecchia in quella pagina opaca e parlamene.
E quindi con quale presunzione posso pensare di accingermi a tradurre un testo cercandone la traduzione più esatta e soprattutto a quali delle infinite dimensioni di senso che mi arrivano da quel testo dovrò dare voce e, finalmente far cadere la penna? Sinceramente non lo so.
Mi dico solo che, meno male non sarò l’unica a tradurre questo testo, anche altri traduttori e poeti si cimenteranno, prima o poi con esso e riporteranno altro. Io avrò solo fatto la traduzione più approssimativa al mio dire di quel preciso momento della mia vita.