“il libro è un oggetto che delimita un blocco di spazio. Per attraversare questo spazio occorre sfogliare le pagine dalla prima che sta dietro la copertina fino all’ultima. Ci si mette un certo tempo ed è come una passeggiata nella neve”
Etcetera è il nuovo libro di Maria Grazia Insinga pubblicato da Fiorina Edizioni, un Leporello di raffinatissima fattura (a cura di Giovanni Fassio), un libro d’artista da leggere, osservare e mostrare.
è solo oscuro il baio
e puro e scalpita
e non ho finito
(MGI)
Il mostro, la dea, la bestia, l’avvelenatrice: quattro figure da aggiungere agli Arcani Maggiori dei tarocchi degli archetipi. Perché di archetipi si tratta e la lingua usata da Maria Grazia Insinga è quella della poesia veggente. Un parlare non udibile, ma che deve essere dipinto con lo sguardo per ricomporne in senso. Come sempre accade per le narrazioni del mito, dove le storie diventano personaggi e i personaggi prendono vita e la vita diventa storia e la storia diventa personaggio… ETCETERA
Succede che per strada urlo senza ritegno. Come nei sogni la voce è silenziosa, me ne rendo conto. Allora cerco di scoprire in quali teste c’è lo stesso intollerabile urlo che sbatte, se passa almeno nello sguardo e se quello sguardo riesce a incontrarsi col mio mentre andiamo in giro per un impegno stranamente preciso e invece non c’è nessun posto reale dove andare dove il corpo e le parole possono entrare e uscire senza le solite piatte conseguenze:
Ci sono donne tutte fasciate in una lunga benda che controlla le loro porosità (lo sguardo che si affaccia dalla fessura) e donne tutte fuori dalla benda che si trascinano il rotolo sotto braccio (il braccio geme sommessamente) mentre lo sguardo sbatte nervoso-allegro incontrandosi col mio.
Ci sono ragazzi con occhi dappertutto e lo sguardo che urla confusamente attraverso una scapola un braccio la mano mentre la tempesta dell’ordine cade secca sulle loro palpebre.
Ci incrociamo per un secondo emozionati dall’emozione di avere forse qualcosa in comune. Nel frattempo stiamo attenti a non inciampare in quelli che camminano a quattro zampe o in quelli che fanno fatica a reggersi in piedi col proposito di rivivere e stiamo anche attenti a non intralciare la corsa dei bambini che un niente può interrompere, ad esempio quel mio impegno che insisto a ritenere proprio preciso.
dicembre 1976
da Le grandi speranze di Piera Oppezzo (1934-2009)
Lì dove mi immersi per trovarti si è perso l’essere e ammutolisce il profeta del mio cuore. Sei in una forma assoluta irraggiungibile anche alla vita stessa, sei una macchia bianca poca acqua torbida. Desidero erodere la mia ultima luce là dove nulla ferma lo sguardo: neppure una rondine voglio all’orizzonte nessun miraggio. Sarà morto il mio cuore e ancora vivrò aspirerò, nella natura, e ti chiamerò estate senza più memoria ti chiamerò fiore, finché il mito farà scorrere dietro di me la tenda: di fronte al muro bianco tutto compiuto e candito e io uno scarafaggio calpestato.
Inverno ’75 – Primavera ‘76
Poesie tratte dalla raccolta Le carte sparse di Penelope di Katerina Angelaki-Rooke traduzione di Sofia Demetrula Rosati
pubblicate sul n. 201 di Poesia (Crocetti editore)
La poesia di Antonis Fostieris tra la filosofia ellenistica e il pensiero di María Zambrano.
di Sofia Demetrula Rosati
Amore e Psiche stanti Antonio Canova (1788-1793)
Colpisce, nella poesia di Antonis Fostieris, la ricchezza di citazioni, l’uso del verso di altri poeti inserito nelle proprie poesie, nonché l’implicito ma pervasivo rimando ai filosofi del periodo presocratico e a Socrate stesso. Il tutto attraverso l’utilizzo di un linguaggio essenziale, mai lirico, al limite del prosaico; la complessità viene ricercata sul piano delle assonanze, dei giochi di parole, capace di rischiare lo scardinamento della lingua stessa. L’uso della lingua in modo così sofisticato, appare quasi dissacratorio, perché è in greco che scrive Fostieris, e la lingua greca (antica o moderna che sia) non è forse già di per sé un assioma per tutto il mondo occidentale? Ma proprio questo uso così ardito, sembra permettere al poeta di ottenere quella giusta composizione alchemica, capace di dissolvere la formula filosofica in immagine poetica. Non si fonde con essa, non la trasforma, non ne esalta il senso e neanche lo disgrega. Semplicemente lo liquefà. La poesia di Fostieris pone l’ultima definitiva parola all’antichissima disputa tra poesia e filosofia, sancendo definitivamente la superiorità della parola poetica. Egli sembra aver risposto a quel quesito, posto da María Zambrano, e rimasto ancora ad interrogarci: “Non sarà possibile che in un qualche giorno felice la poesia raccolga, fissando lucidamente e per tutti il proprio sogno, tutto ciò che la filosofia sa, tutto ciò che ha appreso nel suo allontanamento e nel suo dubbio?”
Questo lavoro alchemico è particolarmente evidente nella silloge “Lete prezioso”. Essa si apre con un trittico (Psiche significa farfalla, La poesia non nasce dalle idee e Pneuma significa soffio) che sembra un vero e proprio trattato di filosofia socratica, sulla Psiche il Pneuma e la creazione della poesia. Psiche significa farfalla, basta aprire un dizionario cercare il termine psiche e passando attraverso il significato di anima, soffio, si arriva a quello di farfalla, sia in riferimento al noto personaggio delle Metamorfosi di Apuleio, ma anche ad una specie di lepidottero “dalla livrea modesta”. Ed è proprio al lepidottero che si riferisce Fostieris. Eufemismo dice il poeta, perché l’anima psiche è il luogo del tormento senza posa e il tarlo che non vola, non ascende verso l’alto, ma ingrassa e sprofonda proprio in quel soma che dovrebbe sentire come separato da sé. Anche per María Zambrano l’anima-farfalla in alcuni casi muore, in altri vola via, ma “Raramente si è verificato quel miracolo di agilità della mente, che le permette di trattare adeguatamente l’anima, di costruire una rete fatta apposta per catturare la realtà sfuggente della psiche.” Psiche significa Farfalla e Pneuma significa soffio. Quindi sembra, qui, mantenersi la distinzione socratica tra Ψυχή e Πνεύμα mentre l’elemento corporeo, che dovrebbe essere ad essi contrapposto, non è il soma ma la poesia. La poesia non nasce dalle idee dice Fostieris e se Pneuma significa soffio (divino) dal quale dovrebbe discendere, egli ci disincanta immediatamente, perché la poesia, dice, non può nascere da un pensiero tanto elementare (anche se lo stesso poeta nazionale Dionisos Solomos aveva scritto: Prima deve concepire l’intelletto/ e dopo il cuore caldo potrà sentire). Se la Zambrano sottolinea che “l’impresa della filosofia greca fu quella di scoprire e presentare come suo quell’abisso dell’essere situato più in là di ogni essere sensibile, che è la realtà poetica, la fonte di tutta la poesia”, Fostieris restituisce il primato alla parola poetica, a quell’eterno trionfo dei sentimenti che bandito dall’ambito filosofico, trova nella poesia il pieno riconoscimento: E allora/ Ti resta solo il sentire/ Solo il sentire ti resta/ Della profonda sconfitta/ Per l’immutabile gloria/ Dei sentimenti.
Ψυχή e Πνεύμα, tornano quindi in unità nella poesia Pneuma significa soffio, rappresentando l’altro luogo (ό αλλος τόπος) quasi si trattasse di una finzione scenica dove le farfalle pascolano fiori in un luogo verdeggiante e dove spira tanto vento (perché i soffi di pneuma e psiche si uniscono), un vento fresco, un mondo parallelo più simile al contemporaneo Truman Show, dal quale nessuno è mai fuggito.
Articolo pubblicato sul numero 88 della Rivista Anterem